Quaranta anni fa, il 4 gennaio 1983, Ronald Reagan firmava l’Orphan Drug Act, la prima norma ad affrontare a livello mondiale il problema legato alla carenza di trattamenti farmacologici per le malattie rare. Venti anni prima, lo scandalo della talidomide aveva portato la Food and Drug Administration ad adottare una normativa più stringente per la messa in commercio dei farmaci, che prevedeva di testare la loro sicurezza ed efficacia con rigorosi trial clinici. Le industrie farmaceutiche si erano quindi focalizzate sullo sviluppo di terapie per le malattie più diffuse e socialmente più rilevanti, per massimizzare i ricavi e sostenere i costi della ricerca.
Nel 1982 venne creata la National Organization for Rare Disorders (NORD), una coalizione di associazioni di pazienti affetti da malattie rare, che l’anno successivo riuscì a fare approvare l’Orphan Drug Act, normativa che tra le varie cose prevedeva di incentivare lo sviluppo industriale dei farmaci rari garantendo alle aziende produttrici una serie di benefit, fra cui l’esclusività di mercato e una riduzione delle tasse. Sull’onda dell’Orphan Drug Act hanno poi visto la luce altre iniziative simili, in Giappone nel 1993 e nella Comunità Europea nel 2000. Grazie a queste leggi in questi 40 anni numerosi obiettivi sono stati raggiunti: oltre 200 farmaci orfani sono stati approvati dalla FDA negli USA e un numero simile dall’EMA in Europa.
Esistono tuttavia ancora numerosi problemi non risolti nella cura e nella presa in carico delle malattie rare. In primis la difficoltà di giungere ad una diagnosi che ancor oggi implica per molti malati odissee diagnostiche di anni. A volte, come nel caso della sindrome COL4A1/COL4A2 le difficoltà sono legate all’estrema rarità della malattia ed alla recente scoperta dei geni coinvolti.
In altri casi, come accade nella malattia di Behçet, le difficoltà sono legate all’estrema eterogeneità dei segni e dei sintomi, che possono anche manifestarsi a distanza di anni l’uno dall’altro ed alla mancanza di criteri di laboratorio e strumentali patognomonici.
Come illustrato nella videpillola il trattamento di questa patologia ha ricevuto un sostanziale avanzamento grazie ad alcuni farmaci orfani come gli anti IL-1.
Spesso l’odissea dei pazienti non finisce con la diagnosi. Infatti, nonostante le possibilità offerte dall’Orphan Drug Act è frequente la carenza di terapie eziologiche specifiche per la cura definitiva di molte malattie. Ad oggi, la maggior parte delle richieste di designazione di farmaco orfano avviene per la terapia di malattie rare oncologiche, neurologiche, infettive, metaboliche ed ematologiche. Va infine sottolineata la criticità dell’età pediatrica, in cui nonostante l’aumento di farmaci orfani sperimentati per questa fase della vita, il numero di malattie orfane rimane ancora molto alto.
Un altro importante problema è rappresentato dalla sostenibilità economica dei farmaci orfani per i sistemi sanitari. Come evidenziato dall’editoriale di Joseph Ross sul British Medical Journal del maggio 2023, il numero di designazioni di farmaco orfano è cresciuto enormemente negli ultimi anni in virtù della migliore capacità diagnostica della medicina di precisione e degli avanzamenti in campo genetico. Patologie che in passato venivano considerate uniche vengono oggi riconosciute come forme differenti, a seconda di specifici genotipi e fenotipi. Questo allarga l’uso del farmaco orfano, spesso mirato su uno specifico bersaglio molecolare, e pone il problema rilevante dei costi, delle possibilità di garantire un accesso alle cure e dell’equità dei trattamenti nei sistemi basati su modelli di welfare sociale.
Vi sono poi, come evidenziato in alcuni articoli di questo numero, i problemi che non derivano dalla mancanza del farmaco specifico, ma dal ritiro dal commercio allo scadere del brevetto di farmaci “poveri”, non più redditizi per essere mantenuti in commercio. Last but not least, il problema derivante dalla carenza di materie prime come nel caso dei plasmaderivati, connesso alla necessità di avere/trovare un numero adeguato di donatori di sangue e di plasma.
Quarant’anni possono sembrare lunghi, ingenuamente definitivi, per risolvere tutti i problemi, ma per il mondo dei rari rappresentano ancora un inizio che induce a riflettere su quali passi compiere nella programmazione del futuro prossimo affinché a tutti i pazienti rari possa venir finalmente garantita una terapia e non siano o si sentano più orfani di trattamento.