La pandemia da COVID-19 ha avuto un impatto devastante sulla popolazione in Italia con 232.741 persone infettate e 35.477 decessi (dati Fondazione GIMBE al 30.8.20). Ciò ha portato il Governo Italiano a disporre un lockdown nazionale a partire dal 9 marzo sino al 3 maggio 2020. Tutto l’apparato sanitario è stato fortemente condizionato da questo evento e dalle conseguenti scelte operate. Molte strutture ospedaliere sono state sostanzialmente riconvertite in degenze per pazienti COVID e tutte le prestazioni ambulatoriali specialistiche non urgenti e le stesse prestazioni riabilitative sono state sospese sine die.
Le conseguenze di questo stato delle cose sull’intera popolazione, e su quella pediatrica in particolare, sono state varie e pesanti. In questo contesto si colloca il variegato mondo dei pazienti affetti da malattie rare che spazia dall’età pediatrica a quella adulta ed include condizioni estremamente differenti tra loro in termini di impatto clinico, prognosi, disabilità associate e comorbidità potenziali.
In un clima di grandissima incertezza conoscitiva, una delle domande che ha maggiormente attanagliato la popolazione dei malati rari riguardava la possibile maggior suscettibilità di questa categoria di pazienti cronici all’infezione da COVID-19 e, qualora infettati, un possibile decorso più drammatico di questi pazienti. Questo dilemma ha coinvolto sia l’età pediatrica che quella adulta.
In assenza di survey globali dedicate, le informazioni raccolte attraverso questionari ad hoc sembrano aver fornito dati rassicuranti: in ambito pediatrico il trend seguito dai bambini con condizioni rare e disabilità ha rispettato quello generale, minor numero di contagi e minor gravità dell’infezione quando contratta, ma nemmeno in età adulta sono scattati particolari allarmi.
Ciò che invece ha pesato fortemente sulla vita dei malati rari è stata la trasformazione dell’offerta sanitaria e la necessaria chiusura delle attività routinarie elettive. Una survey promossa dal Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) e UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare Onlus, dal 23 marzo al 5 aprile 2020, ha raccolto 1174 questionari: il 52% dei rispondenti ha dichiarato di aver rinunciato a terapie ospedaliere per non essere esposti al contagio. Tra questi il 55% ha rinunciato perché consigliati dal medico del centro di expertise, dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta, mentre il 44% delle persone ha deciso autonomamente di sospendere le terapie ospedaliere.
Di fatto il 46% dei rispondenti ha riscontrato problemi nella continuità assistenziale o terapeutica. Anche dati più allargati inerenti le persone con disabilità dimostrano come “194.000 pazienti abbiano subito una sospensione dei ricoveri e/o una dimissione precoce in ambito riabilitativo in 10 differenti Paesi dell’Unione Europea. Per quanto riguarda le attività ambulatoriali sono state completamente sospese nell’83% dei Paesi, coinvolgendo 318.000 pazienti al giorno in Italia, Belgio e Regno Unito con una stima globale di 1,3-2,2 milioni di pazienti in Europa a cui quotidianamente sono state negate le usuali terapie riabilitative”. Il tutto con conseguenze assai pesanti in termini di perdita di capacità/competenze acquisite e necessità impellente di aumento dei trattamenti in fase post-emergenziale per il recupero di ciò che il lockdown ha fatto perdere. Non dimentichiamo infatti che per moltissime condizioni rare, soprattutto in ambito pediatrico, il vero ed unico “farmaco raro” è rappresentato dalla riabilitazione.
Criticità ancora maggiori si sono riscontrate per quanto attiene l’assistenza in situazioni di emergenza con conseguenze in alcuni casi estremamente gravi (decesso, ricovero in rianimazione, severo aggravamento del quadro clinico) come esito di una presa in carico tardiva o da parte di strutture non adeguatamente competenti.
Altra conseguenza negativa significativa del periodo pandemico è stata registrata in relazione alla consegna ed all’approvvigionamento di farmaci. Secondo il questionario di CNMR e UNIAMO “circa un quinto dei malati rari non ha avuto possibilità di accedere alla consegna di farmaci a domicilio e solo un quarto di quelli che ne avrebbero avuto bisogno ha potuto effettivamente avere accesso a farmaci di tipo ospedaliero”.
Molti i bisogni segnalati dai malati rari, in gran parte restati inevasi, soprattutto in ambito informativo (riguardo la propria patologia in relazione all’infezione da COVID-19 o riguardo a problematiche organizzativo-burocratiche) e di supporto emotivo psicologico.
In ambito pediatrico una survey attivata da SIMGePeD in collaborazione con UNIAMO, associazioni amiche di Telethon e numerose singole associazioni di condizioni rare, ha analizzato i dati di 1267 famiglie mostrando importanti ripercussioni della qualità di vita di questi stessi pazienti in termini di peggioramento del sonno, dell’alimentazione, dell’umore. Anche a livello di questi nuclei familiari si rileva un aumento percepito dello stress durante il periodo del lockdown, peraltro anche controbilanciato da un miglioramento delle relazioni familiari, in un quinto circa dei casi conseguenza della maggior quantità di tempo trascorso insieme.
Ma, in accordo con la famosa massima cinematografica che recitava “quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, una valutazione delle emozioni vissute da queste famiglie dimostra come, a fianco di sensazioni più che comprensibili di paura, vulnerabilità ed incertezza, sia stata presente una sensazione di “speranza” in una fetta assolutamente rilevante di famiglie (più del 50%) a riprova che l’avventura di crescere un figlio con una condizione rara fornisce a queste persone strategie di coping e una resilienza in grado di renderle maggiormente capaci di affrontare e gestire situazioni difficili come quelle rappresentate dalla pandemia e dal conseguente lockdown.