Terminata l’emergenza Covid, speriamo, possiamo finalmente riportare l’attenzione dei “political decision-makers” sulle necessità dei malati rari. Necessità che cercano di uscire dall’ambito dell’urgenza.
Con la definitiva approvazione del Parlamento del Testo Unico Malattie Rare, legge entrata in vigore il 12 dicembre 2021, il nostro Paese sembrava iniziare il ciclo virtuoso di una programmazione, capace di garantire l’uniformità del diritto alle cure dei cittadini affetti da malattie rare al di là del risiedere in aree “fortunate” o “sfortunate” dell’Italia.
La legge licenziata, frutto della fatica pluridecennale di pazienti, famiglie, associazioni ed operatori sanitari e sociali appare come una buona legge. Recepisce i bisogni e descrive in modo concreto e lineare le modalità di risposta clinica e del sostegno allo sviluppo della ricerca nel settore.
Tra le necessità recepite ci sono dei punti fermi fondamentali, tra i quali: a) la garanzia di ricevere le terapie farmacologiche (anche con farmaci non ancora presenti sul mercato nazionale o comunitario) ed i presidi necessari; b) la definizione dei compiti dei centri di riferimento per la stesura dei piani terapeutici e dei percorsi di formazione/informazione; c) i percorsi di aggiornamento dei livelli essenziali d’assistenza. Temi che rappresentano i cardini della lunga gestazione di questa legge.
Ci sono poi delle novità di rilievo, rappresentate dal riconoscimento formale del ruolo delle associazioni dei pazienti nella gestione della programmazione nazionale, con la loro presenza nel neo costituito Comitato Nazionale per le Malattie Rare, e dall’istituzione di alcuni meccanismi di supporto economico di grande rilievo. Il primo diretto a malati e famiglie, con la creazione di un fondo di solidarietà dedicato a sostenere le criticità della vita quotidiana: cure domiciliari ed inserimento scolastico e lavorativo. Un supporto che però non deve essere “carità”, ma un ragionevole e razionale investimento dello Stato per la qualità di vita dei suoi cittadini più sfortunati.
Altri due, rivolti a incentivare la ricerca sulle malattie rare: a) programmi di ricerca pre-clinica e clinica, studi epidemiologici, sviluppo di nuovi screening, sostenuti da fondi pubblici; b) incentivi alle aziende private impegnate nello sviluppo di nuove terapie, mediante il riconoscimento di un sostanzioso (65%) credito d’imposta per le spese di ricerca.
Come dicevamo in apertura, ci siamo avviati virtuosamente sui sentieri della programmazione per abbandonare quelli dell’urgenza. Ma è proprio così?
Come, aihmè, spesso accade al risveglio da un bel sogno, c’è sempre un però. Il nostro è quello della necessità, per rendere operativa la legge, di provvedere a determinare i decreti attuativi per il riconoscimento del Fondo di solidarietà, del Comitato nazionale per le malattie rare, degli aspetti finanziari, ecc.
Insomma abbiamo fatto la carrozzeria, bella come noi italiani sappiamo fare, ora però comandi e motore quando li mettiamo?