Il caso tratta di una paziente affetta da amiloidosi AL, con coinvolgimento multiorgano noto dal 2015, già trattata con alchilanti e steroidi e ritrattata con daratumumab in monoterapia per una recidiva della malattia.
A maggio 2015 la paziente (52 aa), fino a quell’epoca in buona salute, giungeva alla nostra attenzione per una puntualizzazione clinica in merito alla comparsa da alcuni mesi di una sintomatologia sistemica sfumata associata a stipsi, nausea, anoressia e calo ponderale complessivo di 16 kg. La paziente riferiva inoltre sporadici episodi sincopali, preceduti da malessere e calo del visus. Durante gli approfondimenti veniva riscontrata la presenza di una proteinuria subnefrosica (1,8 gr/die) con paraproteinuria di Bence Jones debolmente positiva associate a normofunzione renale. La paziente veniva quindi sottoposta ad accertamenti istologici del grasso periombelicale (negativo), del midollo (positivo per la presenza di depositi di sostanza amiloide con associata monoclonalità <10% delle plasmacellule) e del rene. Il quadro istologico renale era caratterizzato dalla presenza di estesi depositi di sostanza amiloide prevalentemente a livello vascolare e mesangiale (catene lambda) (Fig. 1).
Confermata la diagnosi di amiloidosi AL (da catene lambda) e si è proceduto alla stadiazione. Ne è risultata un’estesa diffusione della malattia, ad includere cuore (NTproBNP basale 900 pg/ml, TnT negativa, NHYA class I, SIV 13 mm), apparato digerente (con conferma istologica a livello gastrico e colico), sistema nervoso periferico (con rilevante compromissione della velocità di conduzione nervosa - VCNP) e sistema autonomico. Nel complesso, utilizzando il Mayo Updated Staging System del 2012, la paziente si trovava al momento della diagnosi in uno stadio II di malattia.
Il paziente con amiloidosi da catene leggere (AL) con coinvolgimento multiorgano ha una sopravvivenza limitata (1). Tuttavia, l’incremento delle conoscenze patogenetiche ha ottenuto rilevanti progressi diagnostici e recentemente anche terapeutici, negli ultimi anni l’armamentario terapeutico si è progressivamente ampliato. Resta da definire quali tra queste nuove opzioni siano davvero efficaci sia in monoterapia che in combinazione con altri farmaci come indicato da alcuni studi registrativi (2).
Il trattamento dell’amiloidosi AL prevede il trapianto di cellule staminali in una minoranza di pazienti, mentre la maggior parte viene trattata con inibitori del proteasoma, agenti alchilanti in combinazione con steroidi (3). Gli schemi attuali derivano dall’esperienza del mieloma multiplo (MM) e mirano ad eliminare il clone plasmacellulare alla base del disordine. Il raggiungimento di una risposta ematologica completa o almeno una riduzione delle catene leggere libere (FLC) costituisce un endpoint critico, ritenuto cruciale per prevenire l’espansione del danno d’organo (4,5).
Alla luce delle condizioni cliniche, non veniva posta indicazione ad autotrapianto di cellule staminali emopoietiche e, data la presenza di severa neuropatia periferica che controindicava l’utilizzo di farmaci potenzialmente neurotossici (bortezomib e thalidomide), veniva avviato un trattamento con desametasone e melphalan per un totale di 9 cicli mensili. Al termine del trattamento è stata ottenuta una completa risposta ematologica e renale, una buona risposta cardiaca (con stabilizzazione del quadro ecocardiografico e dei valori di NTproBNP) e una normalizzazione del quadro VCNP.
A due anni dal termine del trattamento si assisteva ad una ricomparsa di proteinuria fino a livelli nefrosici (6,8 gr/die). La paziente veniva sottoposta ad una nuova biopsia renale, che nel confermare la diagnosi di amiloidosi AL a catene lambda mostrava un incremento dei depositi a livello glomerulare e vascolare e un più limitato interessamento interstiziale. Gli esami ematochimici eseguiti contestualmente confermavano una recidiva di malattia con K/L ratio alterato (0,23) e CM lambda positiva.
Nel mese di dicembre 2018, alla luce del quadro istologico e bioumorale e sulla base delle iniziali evidenze di letteratura, soprattutto di una robusta esperienza aneddotica (6) nel trattamento rescue dell’amiloidosi AL, si avviava un trattamento con daratumumab. Daratumumab (DARA) è un anticorpo monoclonale (MoAb) IgG1k umano anti-CD38, efficace nel trattamento del mieloma multiplo recidivante/refrattario. È approvato per l’amiloidosi in combinazione con inibitori del proteasoma e farmaci immunomodulatori (7,8). L’indicazione all’utilizzo di DARA in monoterapia per il trattamento dell'amiloidosi AL è attualmente in fase di valutazione (NCT04131309) (8).
In considerazione della precedente controindicazione all’utilizzo di farmaci neurotossici si optava per un protocollo con anti-CD38 in monoterapia.
La paziente è stata quindi sottoposta a 24 infusioni di DARA alla dose di 16 mg/Kg (8 infusioni settimanali, 8 infusioni quindicinali e 8 infusioni mensili), manifestando un’ottima tolleranza al trattamento e senza complicanze cliniche durante i 14 mesi di terapia, al termine della quale la paziente ha nuovamente ottenuto una risposta renale (proteinuria <0,3 gr/die) ed ematologica completa (catene leggere di norma, immunofissazione sierica ed urinaria negative). Una nuova biopsia renale ripetuta a fine terapia ha mostrato una sostanziale stabilità dei depositi di amiloide a livello glomerulare con una riduzione a livello vascolare. È stata ripetuta una biopsia osteomidollare, risultata negativa per clonalità plasmacellulari e presenza di sostanza amiloide.
Dal termine del trattamento con DARA in monoterapia non è stata necessaria alcuna terapia di mantenimento. La paziente è stata strettamente monitorata dal punto di vista clinico e bioumorale.
A 3 anni dal termine del trattamento, la paziente si presenta in ottime condizioni cliniche generali, senza alcuna sintomatologia imputabile ad una recidiva di malattia.
La funzione renale si mantiene di norma e la proteinuria è stabilmente inferiore agli 0,5 g/die con paraproteinuria di Bence Jones negativa. Dal punto di vista ematologico, il rapporto K/L è di norma e non sono presenti componenti monoclonali. Non sono emerse variazioni del quadro cardiologico e neurologico ai controlli periodici eseguiti durante tutto il follow-up.
Nel caso riportato, daratumumab si è confermato un’ottima opzione terapeutica in grado di ottenere una risposta completa e persistente perfino in pazienti non naive. Daratumumab è caratterizzato da un buon profilo di sicurezza anche in pazienti con coinvolgimento cardiaco avanzato (8).
Inoltre, la neuropatia non rappresenta una limitazione all’utilizzo del farmaco. I risultati ottenuti nel caso descritto sono simili a quelli già consegnati alla letteratura dal nostro gruppo (6), nei quali daratumumab in monoterapia è risultato efficace sia come trattamento frontline che in corso di recidiva. Come nel caso in esame i pazienti trattati non hanno richiesto alcuna terapia di mantenimento.