Wikipedia definisce l’intelligenza artificiale (IA) come la capacità o il tentativo di un sistema artificiale di simulare l'intelligenza umana attraverso l'ottimizzazione di funzioni matematiche (1). Interroghiamo Google: in 0,45 secondi, si trovano 9.090.000 risultati relativi all’IA (in Italiano). E PubMed? 269 mila riscontri specifici ad IA in medicina e biologia, ma con un andamento esponenziale negli ultimi 10 anni: da circa 6800 nel 2014 ai 49 mila del 2024. La storia dell’IA in biologia affonda le sue radici negli anni '60 e '70, con lo sviluppo di Dendral, un “sistema esperto” sviluppato per la risoluzione di problemi in chimica organica. Poi venne MYCIN, uno dei primi sistemi di IA applicati alla medicina, per diagnosticare le infezioni batteriche. Non ebbe fortuna. Negli anni '80 e '90 la diffusione di computer con grandi potenze di calcolo e l’era della connettività aprirono nuove prospettive per l'IA.
Oggi ha dato tanta “popolarità” al tema la diffusione dei cosiddetti chatbot, di cui il più celebre è ChatGPT, lanciato da OpenAI nel novembre 2022. Un chatbot è un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano che sembri verosimile. I chatbot utilizzano sistemi di elaborazione del linguaggio naturale. Non si tratta di novità assolute: l’origine dei chatbot può essere fatto risalire alle idee di Alan Turing, negli anni ’50, e ai successivi “esperimenti” degli anni ’60 e ’70. La app di ChatGPT, che può essere scaricata e installata su ogni telefonino, utilizza un modello linguistico di grandi dimensioni per interagire in modo naturale e fluido con gli utenti, coprendo una vasta gamma di argomenti.
Con ChatGPT sono emersi così - come suggerisce nel suo ultimo fascicolo la rivista MicroMega (2) - gli apocalittici e gli integrati della IA. C’è chi la definisce una innovazione epocale, e sostiene che siamo di fronte ad una rivoluzione antropologica, anche se di simili svolte drammatiche è punteggiata la storia: il motore a scoppio, o “l’invenzione” del container che ha trasformato il modo di commerciare su scala globale.
Diversi contributi di esperti nel citato numero di MicroMega, (ri)portano alla nostra attenzione alcuni ambiti nei quali la IA suscita paralleli entusiasmi e preoccupazioni. Ci si pone il quesito di come l'IA influenzerà il sapere umanistico, la cui fondamentale caratteristica è l'esercizio della critica, difficilmente soppiantabile da meccanismi artificiali, di cui per altro non conosciamo fino in fondo il funzionamento (come anche sottolinea il prof. Remuzzi in un recente intervento su La Lettura del Corriere della Sera); o la concezione della democrazia, che potrebbe essere messa in discussione dal predominio degli algoritmi (l’algoritmocrazia!). La ricerca scientifica e la medicina possono trarre (e già traggono) vantaggi dall'IA applicata allo sviluppo di nuove conoscenze scientifiche e di nuove opportunità per la diagnosi, prevenzione e cura delle malattie.
Pur tenendo presente tutti i limiti e i rischi dell’IA nei diversi campi della conoscenza, dobbiamo mettere anche in evidenza le potenzialità di questa innovazione nell’assistenza sanitaria. Il cosiddetto apprendimento automatico consente l'analisi efficiente di vasti dataset per effettuare previsioni diagnostiche o fornire raccomandazioni di trattamento personalizzate. Come per gli altri ambiti della medicina, anche per le malattie rare l’impiego di modalità applicative della IA può aprire prospettive di grande interesse per medici e pazienti (4). Gli ambiti nei quali le diverse forme fin qui sviluppate di IA possono giocare un ruolo a supporto di diagnosi e cura delle malattie rare sono molteplici, e il loro impiego è già in atto. Una disanima esauriente di questi ambiti non è qui possibile, e li enunciamo sommariamente per titoli generali.
Sono già disponibili sistemi di supporto alle decisioni diagnostiche che possono assistere il medico fornendo un elenco di diagnosi differenziali pertinenti. Sono stati progettati e sono già utilizzati algoritmi per compilare reti e registrare informazioni su malattie rare per identificare nuovi casi. Un potenziale limite dell’applicazione di algoritmi di IA nelle malattie rare risiede nella necessità di avere a disposizione grandi quantità di dati da analizzare, non sempre disponibili. Tuttavia l’evoluzione informatica può superare questo ostacolo, per esempio cercando indici clinici che sono comunemente trascurati nel corso iniziale dell'identificazione delle malattie rare.
Considerato che circa l'80% delle malattie rare è causata da mutazioni genetiche, i ricercatori hanno esplorato la possibilità che l'IA possa essere messa al servizio dell’indagine genetica, e infatti diversi strumenti sono stati sviluppati per una varietà di malattie rare, come PhenIX e Xrare.
La sperimentazione clinica è uno dei passaggi più importanti nella ricerca. Il disegno e la conduzione degli studi clinici può avvalersi della IA per migliorare la progettazione di protocolli e portare ad un miglioramento della conduzione della ricerca (5).
Non meno importante è l’uso della IA nello screening di molecole allo scopo di individuare quelle più promettenti da sottoporre a sperimentazione, riducendo in questo modo i tempi per trasferire i risultati della ricerca alla pratica. Tutti questi aspetti hanno importanza per le malattie rare, per le quali la difficoltà a individuare nuove terapie e a disegnare e condurre studi clinici è da sempre al centro dell’attenzione di ricercatori e pazienti.
Considerati i tempi e i costi dello sviluppo di un farmaco, ogni fallimento nel condurre a termine lo studio di terapie innovative rappresenta una perdita importante. L’IA ha il potenziale per migliorare tutte le fasi dello sviluppo dei farmaci, evitando o riducendo tutti i rischi di fallimento (progettazione inadeguata, scarso reclutamento dei pazienti, inefficienza nella conduzione e nel monitoraggio dello studio). Inoltre la IA può contribuire al cosiddetto riutilizzo di farmaci già in uso e registrati per nuove indicazioni, un'opzione significativa per le malattie rare.
La domanda che chi affronta oggi il tema dell’IA in medicina si pone spesso è quella dei rischi che essa comporta. Eugenio Santoro (6) ci ricorda che uno dei rischi dell’uso della IA in medicina è che impieghi sistemi non sufficientemente testati e supportati da prove scientifiche, suggerendo che come ogni altra pratica innovativa dovrebbero essere testati con studi metodologicamente validi. Per altro queste indicazioni sono state stabilite da un documento pubblicato dal Ministero della Salute sull'uso dei sistemi di intelligenza artificiale come strumento di supporto alla diagnostica.
Per concludere una considerazione personale. Nel corso della carriera di ogni medico si assiste allo sviluppo di nuovi strumenti diagnostici e terapeutici, e anche di paradigmi concettuali nell’esercizio della professione. Queste innovazioni, i medici le hanno sempre accolte con interesse ma hanno sempre presente lo specifico dell’agire clinico: il rapporto tra due persone, il curante e il curato. Non sarà diverso con l’IA: non è e non sarà qualcosa che andrà a modificare questo rapporto.