“L’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate dalla comunità scientifica e aggiorna le competenze attraverso lo studio e la ricerca, il pensiero critico, la riflessione fondata sull’esperienza e le buone pratiche, al fine di garantire la qualità e la sicurezza delle attività”, recita così il Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche. E ancora: “L’infermiere orienta il suo agire al bene della persona, della famiglia e della collettività.
Le sue azioni si realizzano e si sviluppano nell’ambito della pratica clinica, dell’organizzazione, dell’educazione e della ricerca”. Soprattutto, l’infermiere assiste e supporta la persona con malattia rara e la famiglia coinvolti in un percorso quotidiano faticoso, che richiede una presa in carico globale, dimostrando di saper volgere lo sguardo verso un futuro basato sull’innovazione, ponendo sempre al centro il paziente e la famiglia, erogando un’assistenza equa, appropriata e sicura, perseguendo il conseguimento di risultati positivi per la salute, attraverso l’erogazione di una cura coordinata a costi contenuti e di alta qualità.
Le malattie rare sono argomento di grande interesse scientifico e sanitario; rappresentano una delle sfide sanitarie più urgenti, da affrontare in tutti i provvedimenti di Salute Pubblica, con una sua specifica rilevanza. Gli esperti parlano di circa 8.000 patologie rare, che riguardano oltre un milione di pazienti, dei quali il 40% di età < 18 anni, ai quali vanno aggiunti i relativi caregiver.
Le persone affette da malattie rare richiedono un’assistenza erogata in Centri specializzati presenti in Italia, che si articoli anche sul territorio, offrendo loro la possibilità di ricevere cure adeguate anche a domicilio, dove possono condurre una vita quanto più possibile di qualità. In tal senso, un’opportunità fondamentale è quella della “teleassistenza”, nominata da anni ma poco sviluppata, e che ora, grazie al PNRR, dovrebbe avere finalmente il suo trampolino di lancio. Nelle nuove strutture e nel modello disegnato dal PNRR con il D.M. 77/2022 nell’assetto di riordino dell’assistenza territoriale, un ruolo di grande rilevanza sarà rivestito proprio dall’infermiere, in particolare dall’Infermiere di Famiglia/Comunità (IFeC), con precise responsabilità a tutti i livelli e che supporta l’assistito per tutte le sue necessità cliniche, assistenziali e sociali.
Gli infermieri, infatti, sono tra i professionisti che affiancano le persone con malattia rara in ogni fase del percorso, considerando la continuità assistenziale esigenza prioritaria che richiede una progettualità nella presa in carico della persona nell’intero percorso di cura, con il coinvolgimento di team multidisciplinari e multiprofessionali appartenenti sia al contesto clinico ospedaliero, sia al contesto territoriale sotto il profilo socio sanitario, supportando le scelte, sostenendo la qualità della vita, ritenendo che “Il tempo di relazione è tempo di cura”, come si legge sempre nel Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche. Nel caso delle malattie rare, poi, la relazione coinvolge anche chi è vicino alla persona assistita.
Il tema dell’integrazione ospedale-territorio è strategico per garantire al paziente la continuità delle cure, sotto il profilo dell’appropriatezza, dell’efficacia e dell’efficienza, determinando anche un miglioramento della qualità di vita della persona assistita.
L’infermiere non rappresenta dunque solo una soluzione, ma una necessità!
Le politiche sanitarie devono garantire l’equità di accesso alle cure, a partire dai nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e, pertanto, rendere l’infermiere protagonista dell’assistenza sul territorio, con un ruolo di primo piano nel prossimo Piano Nazionale della Cronicità.
Le potenzialità sono enormi, ma l’acclarata mancanza di professionisti infermieri mina seriamente il raggiungimento degli obiettivi. La carenza di infermieri in Italia è un problema serio: mediamente, ogni anno, entrano nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) 11.000 infermieri laureati, ma se ne perdono 14.000 per pensionamento.
Il problema si acuisce poi proprio in riferimento all’IFeC: lo standard previsto dal D.M. 77/2022 si aggira intorno alle 20.000 unità, ma rispetto anche alle prime previsioni del D.L. 34/2020, emanato durante la pandemia, oggi non sono attivi più di 3.000 IFeC. Oltre alla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), che lo ha definito fin dal 2020, anche Agenas, nelle sue recenti linee di indirizzo, prevede percorsi specifici di formazione, perché l’IFeC si configura come una specializzazione della professione e quindi come tale va trattata; questo comporta attese medio-lunghe prima di poter integrare in modo completo gli organici.
Il problema non può più essere sottovalutato: è necessario stanziare ulteriori risorse per sostenere il SSN e renderlo maggiormente attrattivo, anche presso i tanti colleghi che hanno scelto di esercitare all’estero, dove sono in vigore modelli organizzativi e opportunità di realizzazione professionale poco presenti nel nostro Paese.
Va sottolineato che non ci si deve soffermare soltanto sul fabbisogno numerico di infermieri, ma devono essere presi in considerazione altri fattori quali le competenze, le abilità relazionali ed i valori identitari della professione infermieristica. Quest'ultima dovrà essere in grado di porre le basi per la progettazione di percorsi di Long Term Care e di transizione ospedale-territorio, attraverso l’implementazione di nuovi modelli di gestione integrata delle cure e dell’assistenza, passando da un concetto di «To Cure» ad un concetto di «To Care» in una logica concreta di Patient and Family Centered Care.
Il passo successivo sarà la valutazione del miglioramento della qualità di vita del paziente e del caregiver/familiare.