Si riporta il caso di un ragazzo di 26 anni seguito per fenilchetonuria (PKU) diagnosticata alla nascita mediante screening neonatale. Alla diagnosi, i suoi valori di fenilalanina plasmatica (Phe) risultavano >1200 μmol/L, compatibili con una PKU classica. Veniva quindi iniziato il trattamento dietetico specifico con una dieta a basso contenuto di Phe e supplementi di miscele amminoacidiche, vitamine e sali minerali. All’età di 12 anni il paziente veniva sottoposto al test per la valutazione della responsività alla tetraidrobiopterina (BH4) risultando non responsivo. Pertanto si consigliava di continuare la terapia dietetica alla quale, tuttavia, il paziente mostrava sempre minore aderenza.
A causa del crescente disagio psicologico, all’età di 20 anni il paziente decideva di abbandonare definitivamente la terapia dietetica. Clinicamente, presentava un quoziente intellettivo pari a 98, deficit di attenzione e concentrazione, episodi ricorrenti di cefalea, lieve alterazione delle funzioni esecutive. La RMN encefalo mostrava il tipico quadro di ipomielinizzazione periventricolare associato ad elevati livelli di Phe. A causa del definitivo rifiuto della terapia dietetica, veniva proposto l’inizio della terapia con l’enzima sostitutivo pegvaliase, un farmaco per uso sottocutaneo. Il paziente veniva dunque istruito alla terapia, veniva prescritta una premedicazione con paracetamolo, anti-H1 (fexofenadina 120 mg) ed anti-H2 (famotidina 40 mg) da effettuarsi 1 ora prima dell’iniezione, ed iniziata la terapia mediante il protocollo di induzione, titolazione e mantenimento indicato nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (Tab. 1).
Dopo 21 settimane di trattamento, alla dose di 40 mg/die, si osservava una graduale riduzione dei valori di Phe fino al raggiungimento del target terapeutico alla 30a settimana e, successivamente, fino a livelli fisioillogici di Phe (Fig. 1). Dopo la 50a settimana di trattamento, per il raggiungimento di livelli eccessivamente bassi di Phe, si riduceva la posologia dimezzando la dose di pegvaliase a 20 mg/die. Durante il trattamento è stata osservata la comparsa di eritemi nei siti di iniezione oppure al volto e di numerosi episodi di artralgia, gestiti con successo con rallentamento dello schema posologico e l’utilizzo di prednisone a basso dosaggio per brevi cicli. Attualmente il paziente ha pienamente risposto alla terapia con enzima sostitutivo, non manifesta eventi avversi e mantiene livelli fisiologici di Phe al dosaggio di 20 mg/die di pegvaliase.
Dal 2021, pegvaliase è disponibile in Italia per i pazienti dai 16 anni di età con livelli di Phe > 600 μmol/L nei quali siano falliti gli altri trattamenti disponibili, ovvero la terapia dietetica e la terapia con BH4. La terapia dietetica resta ancora il gold standard di trattamento, ma è gravata, soprattutto dall’età adolescenziale, da forte disagio psicologico per le difficoltà organizzative e sociali che comporta. Conseguentemente, molti adolescenti ed adulti con PKU abbandonano la dieta con conseguente aumento dei livelli di Phe, alterazione dei neurotrasmettitori a livello del SNC e possibile sintomatologia neurologica.
Pegvaliase è il primo trattamento per la PKU in grado di riportare i livelli di Phe nel range terapeutico (addirittura a livelli fisiologici) mantenendo uno stile alimentare normoproteico (1). È inoltre ugualmente efficace nei fenotipi severi di PKU. L’enzima utilizzato (PAL) scinde la Phe in ammoniaca ed acido trans-cinnamico, facilmente eliminati dall’organismo. Tuttavia, essendo l’enzima di origine batterica, può elicitare una risposta immunitaria che è alla base di alcuni effetti collaterali, più comunemente lievi-moderati, come ad esempio reazioni cutanee nei siti di iniezione, artralgie, mialgie, oppure - più raramente - reazioni di ipersensibilità acuta mediate da immunocomplessi. Fortunatamente, durante gli studi clinici e successivamente nella pratica clinica, sono state sviluppate strategie per mitigare gli eventi avversi mediante schemi posologici di induzione e titolazione per favorire la tolleranza immunologica, protocolli di premedicazione e di gestione tempestiva di eventuali eventi avversi (2).
L’esperienza clinica ha mostrato che, in caso di comparsa di effetti collaterali, il rallentamento dello schema di trattamento e l’utilizzo di brevi cicli di cortisonico a basse dosi sono sufficienti a ridurre drasticamente l’impatto degli eventi avversi. Con la maturazione della risposta immune si osserva infine una maggiore efficacia nel tempo con la possibilità di ridurre i dosaggi del farmaco mantenendo l’efficacia terapeutica.