Gli ultimi due anni di pandemia hanno evidenziato come un sistema sanitario basato solo sulla gestione ospedaliera non sia in grado di affrontare le sfide poste dalla medicina del futuro.
La presa in carico domiciliare è fondamentale non solo per affrontare le riacutizzazioni dei pazienti, ma anche per garantire una cura ottimale delle persone affette da malattie croniche nelle sedi più vicine al loro domicilio.
L’obiettivo fondamentale è quello di individuare i pazienti con le maggiori fragilità socio-sanitarie ed assistenziali, a prescindere dalla presenza di terapie farmacologiche, garantendo una gestione ottimale all’interno del proprio contesto di vita, riducendo al minimo il rischio di istituzionalizzazione (1).
Al fine di permettere un tale livello di presa in carico occorre che i sistemi sanitari regionali sviluppino un sistema assistenziale che permetta l’attivazione di servizi specifici quali l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI).
Una recente analisi effettuata dal Tavolo Interregionale per le Malattie Rare (2) ha evidenziato come nel 2020 in media il 3,4% dei malati rari sono stati presi in carico dalle ADI; costituendo l’1,6% dei pazienti in ADI; questa percentuale aumenta oltre al 40% nella fascia di età infantile.
Un punto fondamentale per garantire la cura ottimale dei pazienti a livello territoriale e domiciliare è rappresentato dalla stesura dei Piani Integrati di Cura (PIC) che deve essere declinata sulle esigenze e le possibilità dei singoli pazienti e delle singole realtà familiari e locali al fine di permettere una reale personalizzazione della cura. La stesura dei piani assistenziali individuali deve quindi coinvolgere necessariamente il personale sanitario - non solo medico - dei Centri Esperti e del territorio, gli operatori sociali, i caregiver, gli insegnanti, gli eventuali volontari e, ove possibile, il paziente stesso.
La presa in carico ottimale dei malati rari richiederebbe un’adeguata formazione dei medici, degli infermieri, dei fisioterapisti e di tutti gli operatori dedicati che dovrebbero adottare specifici approcci non solo clinici ma anche comportamentali. Occorre prevedere un sistema di formazione continua che includa il contatto diretto fra gli operatori dei Centri Esperti per le specifiche patologie rare e gli operatori (personale sanitario, assistenti sociali, insegnanti, etc.) che svolgono un’attività quotidiana con il paziente (3). Una formazione post-laurea di questo tipo potrebbe essere resa disponibile grazie a master universitari quali quelli attivati a Torino, Firenze, Roma e Napoli.
Le iniziative di continuità ospedale-territorio richiedono anche la disponibilità di strutture intermedie per gestire le fasi post-acute a domicilio mediante gruppi multidisciplinari, programmi di ospedalizzazione domiciliare, l'impiego di tecnologie di telemonitoraggio, la presenza di centri di comunità e poliambulatori, e di strutture di ricovero nel territorio gestite anche dai medici di medicina generale. Un modello che potrebbe prendere piede in tale ambito è quello delle case della salute permetterebbero anche una maggior integrazione fra rete assistenziale e rete sociale.
Le attuali possibilità tecnologiche attraverso il telemonitoraggio e la teleassistenza permettono una presa in carico domiciliare anche di pazienti affetti da patologie altamente invalidanti. Un esempio virtuoso in tale ambito è rappresentato dalla Rete piemontese per l’assistenza respiratoria, istituita nel 2003 per i pazienti in età evolutiva e successivamente estesa all’età adulta (4). Il ricovero ospedaliero avviene solo qualora realmente necessario e la rapida domiciliazione permette di ridurre i tempi di ospedalizzazione e di andare incontro alle esigenze del paziente.
Il Piano Nazionale Cronicità, varato nel 2016, prevede un riequilibrio e una maggiore integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale in cui l’ospedale va considerato come uno snodo di alta specializzazione del sistema di cure per la cronicità, che include anche la specialistica ambulatoriale e l’assistenza primaria formando reti multispecialistiche e multiprofessionali dedicate che permettano di ridurre i tempi di ricovero e gli outcome negativi. Il Piano avrebbe potuto rappresentare una grande possibilità per promuovere la presa in carico territoriale per i malati rari (5). Purtroppo, però le patologie per cui è stato previsto sono solo quelle ad elevata prevalenza come l’insufficienza cardiaca cronica o la BPCO.
La presa in carico territoriale e, ove occorre anche domiciliare, dei malati rari rappresenta una grande sfida per il futuro del Sistema Sanitario Nazionale e non può certamente essere limitata, come proposto da alcune industrie farmaceutiche, alla sola somministrazione domiciliare di farmaci ad alto costo.