L'alcaptonuria (AKU) è una malattia genetica autosomico-recessiva dovuta alla carenza dell'enzima omogentisico 1,2 diossigenasi (HGD) che si trova sulla via del catabolismo di fenilalanina e tirosina. La review su questo numero a pagina 11 riporta le informazioni su fisiopatologia e quadro clinico di questa malattia. Fino a poco tempo fa esistevano solo cure sintomatiche. I tentativi di terapia dietetica ipoproteica o con alte dosi di vitamina C come anti-ossidante, non hanno mai dimostrato un’efficacia clinica (1).
In seguito allo straordinario successo di nitisinone (NTBC) nella terapia della tirosinemia tipo I, questo farmaco fu subito proposto anche per la AKU [2]. NTBC inibisce l’enzima 4-idrossifenil-piruvico ossidasi impedendo così la formazione dei metaboliti a valle (vedi figura 1 dell’articolo a pagina 11).
Se da un punto di vista prettamente biochimico, gli studi iniziali (condotti su piccoli campioni di pazienti e per brevi periodi), erano riusciti a dimostrare che NTBC era in grado di ridurre l'escrezione urinaria di HGA [1], meglio se associato ad una dieta ipoproteica [3], la strada per dimostrare la sua efficacia nella AKU è stata lunga. Questo perché:
All’interno del programma DevelopAKUre, finanziato dalla Comunità Europea (2012-2019), furono impostati e portati a termine studi che permisero di fare molti passi avanti nella comprensione dell’efficacia di NTBC.
Il trial clinico in singolo-cieco SONIA 1 (Suitability Of NTBC In Alkaptonuria) durato 3 anni, reclutò 20 pazienti e riuscì a dimostrare che NTBC riduceva l'HGA urinario in modo dose e concentrazione-dipendente, ma non si riuscirono ad ottenere risultati statisticamente significativi riguardo all’efficacia clinica [4,5].
Dal 2012, NTBC (alla dose di 2 mg al giorno) è stato somministrato off label ai pazienti afferenti al Centro Nazionale per l'Alcaptonuria (NAC) del Regno Unito e, sebbene non si trattasse di un trial clinico, i dati raccolti dal NAC in modo protocollato nel 2018 furono di alta qualità ed evidenziarono risultati positivi nella AKU [6].
Contemporaneamente anche gli studi sui modelli murini permisero di capire che l'acido omogentisico non è solo un marcatore, ma un endpoint adatto per gli studi clinici in quanto fortemente implicato nella patogenesi di malattia [7].
Questo permise a Ranganath e colleghi di procedere con uno studio clinico multicentrico randomizzato e controllato in aperto (SONIA 2), che dimostrò che NTBC poteva essere una terapia eziologica per la AKU. In questo studio venne utilizzata una dose quotidiana di NTBC maggiore (10 mg) rispetto agli studi precedenti e si assistette ad una riduzione di HGA urinario del 98%-99%. Fondamentale però, fu la valutazione clinica che, invece di basarsi su singoli endpoint, utilizzò l'Alkaptonuria Severity Score Index come misura della gravità della malattia [8]. Lo studio mostrò una riduzione del tasso di progressione della malattia nei soggetti che ricevevano NTBC rispetto ai controlli.
Relativamente agli eventi avversi, si è soprattutto osservata una cheratopatia corneale in una quota dei soggetti trattati, dovuta a un'elevata concentrazione plasmatica di tirosina, come atteso, analogamente agli effetti nella tirosinemia tipo I [9].
Sulla base dei risultati dello studio SONIA-2, l'uso di NTBC 10 mg al giorno è stato approvato dalla Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) nel settembre 2020 per il trattamento di pazienti adulti con AKU (https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/orfadin) e da AIFA nell’aprile 2021 (https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_003316_036870_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3).
La principale conseguenza del trattamento con NTBC è l’aumento della tirosina plasmatica. Questa ipertirosinemia può causare una cheratopatia corneale e/o opacità corneale, come avviene nella tirosinemia tipo II. La inibizione di 4-idrossifenilpiruvico ossidasi da parte di NTBC, può trasformare la AKU in una sorta di tirosinemia tipo III (vedi figura 1 della review a pagina 11), malattia molto rara di cui non si conosce dettagliatamente il quadro clinico [10]. Al fine di mantenere la tirosina plasmatica entro limiti tollerabili, il trattamento deve essere associato a dieta a basso contenuto di fenilalanina e tirosina, cioè ad una restrizione dietetica proteica che deve essere integrata per evitare carenze nutrizionali e attentamente monitorata (8).
Non sono disponibili dati sufficienti sul trattamento con NTBC in pazienti anziani e in gravidanza (www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/orfadin).
Una prima questione da risolvere è capire quale sia il momento ottimale per l'inizio del trattamento: una iniziale risposta è giunta dallo studio SOFIA (Subclinical Ochronotic features in alkaptonuria), terzo studio del programma DevelopAKUre che dimostrò in 30 soggetti affetti con età media di 38 anni, che i segni subclinici della malattia sono presenti prima dei 20 anni. Tutti i pazienti avevano un punteggio all’Alkaptonuria Severity Score Index molto più alto in età molto precoce rispetto alla popolazione non affetta [11]. Sembra quindi ragionevole che il trattamento venga iniziato precocemente, prima dei sintomi clinici manifesti. è possibile che in questo caso possa essere sufficiente una dose bassa che permetta di evitare l’aumento esagerato dei livelli plasmatici di tirosina e gli effetti collaterali a breve e a lungo termine associati alla ipertirosinemia [12].
Speculare è la questione dei pazienti anziani con malattia avanzata e danni anatomici consolidati, per i quali ci si chiede se il farmaco possa davvero essere efficace e migliorare la qualità di vita, a fronte degli effetti collaterali e della necessità di dieta ipoproteica. è stato anche ipotizzato un rischio aumentato di decadimento cognitivo nell’anziano, legato al trattamento, che è però stato escluso da un recente lavoro [13].
Infine sarà importante stabilire la dose minima necessaria (uguale per tutti o adattata al singolo paziente) e occorrerà capire se sia necessario trattare tutti i pazienti, ossia anche quelli che presentano livelli di HGA solo modestamente elevati (e che potrebbero non sviluppare i segni e sintomi clinici della malattia).