Quando il medico riesce a comprendere la malattia e la sua causa biologica è soddisfatto, può dare una risposta al paziente, alla famiglia: ha fatto la diagnosi. La diagnosi eziologica, che è il passo fondamentale per impostare una terapia corretta, la migliore terapia, quella che “funziona”, che sia efficace. La soddisfazione accresce e il medico ha fatto il suo dovere. Se poi si tratta di una malattia rara, di cui è venuto a capo dopo anni di indagini e per la quale magari esiste anche una terapia, l’autostima aumenta. Il medico pensa di aver svolto il suo compito, di aver risolto tutto. Ma a quel punto cosa succede? Dato il nome al problema e trovata la “pillola” giusta iniziano le domande, i genitori si chiedono: come sarà la vita di nostro figlio? Potrà correre, giocare, mangiare, studiare, crescere come tutti gli altri? In sostanza, funzionerà come un bimbo, un uomo normali?
Di recente ho partecipato al corso sulle Malattie Rare del Metabolismo che Maurizio Averna organizza annualmente nella sua Sicilia. Tra gli argomenti trattati, una sessione era dedicata alla fenilchetonuria, una malattia a volte sottostimata dai più esigenti rarologi, perché di lei dopo un secolo dalla scoperta si sa ormai tutto: è stata la prima malattia metabolica per la quale si è sviluppato lo screening neonatale, definito un approccio dietetico e oggi ha anche una terapia sostitutiva. Ma a fronte di tutti gli strumenti a disposizione ci ha sorpreso il problema del funzionamento.
È un tema importante che Angelo Selicorni nel suo articolo definisce come lo sforzo decisivo da fare per affrontare compiutamente le malattie rare. “È una diagnosi che costantemente evolve nel tempo, in positivo o in negativo” dice Angelo, in un percorso di valutazione continua che si integra con i programmi terapeutici e di follow-up clinico “nell’ottica di una personalizzazione delle cure, sartorializzate sulla singola persona”.
Un esempio di personalizzazione delle cure ci viene presentato dalle farmaciste di Brescia e Torino, che descrivono la potenzialità di una terapia epigenetica galenica per la cura della sindrome VEXAS. Sempre in ambito farmacologico, Babaglioni e Paganotti ci introducono alla terapia della granulomatosi eosinofila con poliangioite, patologia regina di questo numero, la cui clinica è descritta dai colleghi Schroeder e Borgonovo. Infine, Mariangela Prada ci informa dell’approvazione del trattamento domiciliare con nerindronato, che faciliterà la vita di molte persone.
Di nuove frontiere capaci di modificare la storia naturale delle malattie metaboliche si occupano Alagia e Fecarotta, mostrandoci la forza dello screening neonatale nella malattia di Pompe.
Il tema del genere viene analizzato da Vecchio e Cefalù nelle differenti risposte di prognosi, diagnosi e terapia tra maschi e femmine nelle ipercolesterolemie familiari omoed eterozigoti. Gagliardo e Noto aprono poi una finestra sull’inquadramento di un tumore ematico ultrararo, la malattia di Erdheim-Chester, mentre la pagina dismorfologica presenta un raro caso di microdelezione cromosomica: la sindrome di Koolen-de Vries.
Daina e Baldovino ci riferiscono del progetto JARDIN volto ad incrementare l’interazione tra i centri nazionali e le ERN, dove la partecipazione delle associazioni dei pazienti riveste un ruolo primario, come ci ricordano Durante e Torracca dell’Associazione Pazienti Sindrome di Churg-Strauss.
Questa volta finiamo con la review proposta dai chirurghi pediatrici del Niguarda di Milano, che ci fanno una bella descrizione delle patologie malformative delle vie aeree e polmonari.
Come sempre: buona lettura!