Il pemfigo volgare (PV) è una rara malattia autoimmune ad andamento cronico, potenzialmente fatale (1). La malattia si manifesta con erosioni a livello del cavo orale, lesioni simil-aftosiche o abrasioni della mucosa geniena. Dopo settimane dalla comparsa delle erosioni possono manifestarsi bolle flaccide, aflegmasiche che rompendosi esitano in erosioni. Spesso il prurito precede la comparsa delle bolle.
Il decorso è cronico-recidivante con lunghe remissioni cliniche e periodi di esacerbazione. L’incidenza annuale del PV stimata a livello mondiale è di 0,1 – 0,5 % per 100.000 (2) e si manifesta più frequentemente in individui tra i 50-60 anni di età sebbene siano state descritte forme ad esordio infantile (3).
Talvolta ha patogenesi paraneoplastica. Il PV è una malattia mediata da autoanticorpi, causata dall’attacco da parte di immunoglobuline di tipo G (IgG) alle proteine desmosomiali: desmogleina 1 e 3 (Dsg1 e Dsg3). Il legame degli autoanticorpi alle Dsg causa la separazione dei cheratinociti tra loro (acantolisi) con perdita di adesione tra le cellule e formazione di bolle intraepidermiche (4,5). La diagnosi viene posta con criteri clinici, citologici, istopatologici, immunofluorescenza diretta (IFD) e indiretta (IFI) (6). Nonostante esistano diverse opzioni terapeutiche i corticosteroidi rappresentano il cardine della terapia.
Ad oggi la mortalità per PV, dovuta agli eventi avversi dei farmaci utilizzati, è diminuita dal 75% al 30% (7,8). L’uso di immunosoppressori adiuvanti, azatioprina o micofenolato mofetile (9), migliora la risposta terapeutica e permette la riduzione della dose di steroide riducendo gli effetti collaterali. Terapie biologiche come rituximab, anticorpo monoclonale usato per il trattamento dei linfomi a cellule B CD20+, vengono utilizzate nel caso in cui altri farmaci non abbiano portato ad una remissione del quadro clinico o risultino non tollerati. Altri farmaci e trattamenti sono dapsone, immunoglobuline per via endovenosa, plasmaferesi, ciclofosfamide e metotrexato (9).
Caso clinico
Presentiamo il caso di un uomo di 31 anni che giungeva alla nostra osservazione per la presenza di candidosi della bocca, erosioni del cavo orale e dei genitali, lesioni a livello degli arti inferiori (Fig. 1) e difficoltà alla masticazione e alla deglutizione. Tale quadro clinico orientava verso la diagnosi di PV.
In anamnesi un precedente ricovero, nel 2019, con diagnosi di Bechet e miocardite da parvovirus B19 con vasculite necrotizzante dei vasi coronarici confermata alla biopsia endomiocardica e trattata con terapia corticosteroidea.
Per confermare il sospetto diagnostico, abbiamo eseguito una biopsia cutanea con esame istologico. Il quadro veniva confermato anche dalla presenza di anticorpi anti desmogleina 3 (> 201.5 UR/ml). Gli esami ematochimici eseguiti risultavano essere nella norma ad eccezione di un incremento degli indici di flogosi (ves 35 >, pcr 0,75 mg/dl >) e degli enzimi epatici (ALT 68 > u/L). Inoltre, per escludere una componente paraneoplastica venivano eseguiti markers tumorali che mostravano un rialzo del CEA (6.9 > ng/ml) e del CA 72-4 (298 > U/ml). Le valutazioni strumentali (ecografia addome, rx torace, ileocolonscopia ed esofagogastroduodenoscopia) non evidenziavano presenza di lesioni atipiche e/o neoplastiche. Il paziente veniva sottoposto a terapia infusionale con metilprednisolone 80 mg per 15 giorni a scalare per 30 giorni in associazione ad azatioprina alla dose di 100 mg/die fino ad un massimo di 200 mg/die con scarso beneficio clinico e sospesa per alterazione dei valori epatici. In accordo con i cardiologi, valutando la pregressa miocardite da parvovirus B19, veniva impostata terapia con rituximab eseguita secondo schema terapeutico con remissione del quadro clinico cutaneo (Fig. 2) e riduzione degli anticorpi anti Dsg 3.
Il PV è una malattia rara su base autoimmune la cui diagnosi può risultare spesso difficoltosa in quanto confusa, come dimostra il nostro caso, con diverse patologie: malattie autoimmuni (pemfigoide bolloso, pemfigoide delle mucose, epidermolisi bollosa acquisita, dermatosi bollosa da IgA lineare); malattie infettive (impetigine bollosa e stomatite erpetica acuta); malattie genetiche (malattia di Hailey–Hailey e stomatite aftosa) (10). Attualmente la terapia è basata sull’utilizzo di farmaci immunosoppressori (6), spesso in combinazione, con lo scopo di ridurre i sintomi, prevenire le eventuali complicanze e mantenere una remissione della malattia. La prognosi varia in rapporto alla forma clinica, alla severità della malattia e alle comorbidità.
In particolare, queste ultime possono essere condizioni associate alla malattia o essere indotte e/o aggravate dalla terapia steroidea e/o immunosoppressiva. Nel nostro caso infatti vogliamo sottolineare come la presenza di una comorbidità quale una pregressa miocardite da parvovirus B19, sebbene non ci siano dati in letteratura, sia stata considerata una controindicazione nel procedere a lungo termine con farmaci immunosoppressori. Di contro, è stata considerata come input per procedere, secondo anche giudizio cardiologico, ad intraprendere terapia con rituximab, farmaco che ha rivoluzionato il trattamento del pemfigo. Nel 2018 la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l’utilizzo del rituximab come farmaco di prima linea per il trattamento del pemfigo moderato-grave e resistente ai comuni trattamenti immunosoppressivi.
Rituximab è efficace nell’indurre la remissione della malattia a breve termine nel 95-100% dei pazienti e la sua efficacia è stata associata ad una rapida e persistente deplezione delle cellule B con conseguente diminuzione dei titoli anticorpali anti Dsg (11). È importante sottolineare che, essendo il PV una malattia rara, i pazienti che ne sono affetti necessitano di un follow-up mirato e di un approccio multidisciplinare ma soprattutto risultano cruciali la diagnosi precoce e il più adeguato approccio terapeutico.