Nel 2006 il signor B., di 72 anni, lamentava la comparsa di lesioni bullose desquamanti a carico della cute del dorso, del collo e del cuoio capelluto, contestualmente all’insorgenza di sanguinamenti gengivali ricorrenti. Il paziente veniva sottoposto a valutazione odontostomatologica con riscontro di lesioni vescicolari-erosive a livello della mucosa orale, per le quali veniva data indicazione a biopsia: il referto istologico mostrava la presenza di un infiltrato linfo-plasmacellulare a carico della lamina propria connettivale, mentre l’esame in immunofluorescenza diretta mostrava una deposizione lineare di IgG a livello della membrana basale, reperti compatibili con diagnosi di pemfigoide delle membrane mucose. Veniva avviata una terapia steroidea endovenosa (ev) con metilprednisolone 1 g per tre giorni, seguita da prednisone orale ad alte dosi (50 mg a scalare).
Il paziente ha inizialmente risposto alla terapia steroidea, ma successivamente ha riferito la comparsa di arrossamento oculare associato a dolore urente e lacrimazione; alla visita oculistica si evidenziava la presenza di trichiasi palpebrale e veniva posto il sospetto di pemfigoide cicatriziale oculare (PCO).
Veniva quindi ripetuto il trattamento con steroidi ev e si decideva di avviare, previo ottenimento del consenso informato, un trattamento steroid-sparing con anticorpi monoclonali anti CD20 (espressi dai linfociti B) secondo lo schema utilizzato per l’artrite reumatoide (rituximab 1 g ev a distanza di due settimane) [1]. A conclusione del ciclo terapeutico il paziente riportava un’esacerbazione di una pregressa epatite B per cui veniva sottoposto a terapia con lamivudina inizialmente associata ad interferone; quest’ultimo veniva successivamente interrotto per il possibile effetto trigger che avrebbe potuto indurre una riacutizzazione del PCO.
Il trattamento con rituximab risultò efficace per controllare le manifestazioni orali del pemfigoide ma non permise di stabilizzare la malattia a livello oculare. Si optò quindi per l’avvio di una terapia immunosoppressiva sistemica con micofenolato mofetile 2 g/die in associazione a terapia steroidea orale; il trattamento steroideo fu sospeso dopo poco a causa dello sviluppo di diabete mellito iatrogeno insulino-trattato. Stante lo scarso controllo dei segni e sintomi oculari con la sola terapia immunosoppressiva venne effettuato un tentativo terapeutico con dapsone 50 mg/die, successivamente aumentato a 100 mg/die sempre con scarso beneficio. La malattia oculare assumeva decorso cronico progressivo con evoluzione sinechiante e conseguente compromissione della capacità visiva, pertanto nel marzo 2013 veniva intrapreso un trattamento con immunoglobuline endovena (IGV) ad un dosaggio di 0,4 g/kg/die per cinque giorni al mese, seguito da singole infusioni mensili di IGV 0,4 g/kg/die [2]. Le infusioni venivano progressivamente dilazionate fino alla loro completa sospensione avvenuta dopo 18 mesi di follow up durante i quali l'esame obiettivo e strumentale oculare apparivano in netto miglioramento, a testimonianza di una completa e persistente stabilizzazione clinica.
Il paziente proseguiva pertanto con sola terapia di mantenimento con dapsone 100 mg/die fino a luglio 2018 quando, durante rivalutazione oftalmologica, si rilevava una riattivazione della malattia associata a simblefaron bilaterale con scomparsa degli archi oculari e comparsa di panno corneale. In considerazione della buona risposta clinica ottenuta cinque anni prima dalla terapia con immunoglobuline ev a scopo immunomodulante, si riavviava trattamento di induzione con tre infusioni al mese di IGV 0,4 g/kg/die per tre mesi, seguite da richiami mensili come precedentemente sperimentato. Tale terapia risulta tuttora in corso, la rivalutazione oftalmologica a tre mesi dal riavvio del farmaco ha evidenziato una completa remissione dell'attività di malattia e, in virtù della persistente stabilità clinica, a ottobre 2019 è stata data indicazione a trapianto di cellule limbari da donatore vivente.
Il pemfigoide delle membrane mucose (PMM), noto anche come pemfigoide cicatriziale (PC), è una grave dermatosi bullosa a genesi autoimmune, che colpisce soprattutto le mucose. L’epidemiologia del PMM non è chiara ma diversi studi indicano un’incidenza di malattia compresa fra 1 e 2 casi/milione/anno [3]. Più comune nelle donne e nelle persone in età avanzata, clinicamente il PMM è una malattia sistemica che colpisce le mucose come la congiuntiva oculare, la mucosa orale e genitale, meno comunemente la cute, il faringe, l'esofago e la laringe; la progressiva cicatrizzazione di tessuti di occhio, gola ed esofago può determinare la comparsa di gravi complicanze che possono potenzialmente impattare in maniera significativa su qualità e aspettativa di vita.
La patogenesi della malattia può essere ricondotta alla presenza nel siero dei pazienti di autoanticorpi contro antigeni della membrana basale, questi tuttavia sono rilevabili con minore frequenza e con un titolo generalmente inferiore rispetto a quanto non accada in alte patologie autoimmuni cutanee. Gli antigeni più frequentemente associati alla malattia sono il collagene VII e il collagene XVII (chiamato anche BP180), la BP230, la laminina 332 e l’integrina a6/b4 [4].
Il sospetto diagnostico si può porre in presenza di manifestazioni cliniche suggestive (occhio arrossato senza causa apparente, presenza di lesioni sinechianti a livello congiuntivale (fig. 1/A), lesioni ulcerative delle gengive, del palato (fig. 2/B) e dei genitali).
La diagnosi si basa, oltre che sull’esame obiettivo delle mucose coinvolte da parte di clinici esperti della malattia, sulla biopsia (non sempre effettuabile, soprattutto nelle forme a coinvolgimento solo oculare) e sul riscontro di autoanticorpi contro gli antigeni sopraindicati nel siero dei pazienti [4]. In numerosi casi il PMM rappresenta una manifestazione paraneoplastica (soprattutto quando sono presenti anticorpi anti laminina 332); è quindi indispensabile effettuare un esteso screening per patologie neoplastiche solide o ematologiche e monitorare i pazienti nel tempo per evidenziare la comparsa di eventuali tumori.
I corticosteroidi per via sistemica a dosaggi immunosoppressivi, così come gli immunomodulanti (dapsone, mitomicina-C) e gli immunosoppressori (ciclofosfamide, azatioprina, metotressato, micofenolato di mofetile), sono i capisaldi del trattamento del PMM grave [5]; negli ultimi anni sono stati anche utilizzati farmaci biotecnologici quali rituximab [2]. In casi selezionati non responsivi alle terapie standard è possibile utilizzare immunoglobuline per via endovenosa (IGV) ad alte dosi [6]. Nei casi in cui siano presenti estese lesioni cicatriziali a livello corneale, quando la componente infiammatoria della malattia sia ben controllata è possibile proporre ai pazienti un trapianto di limbus [7].
Il PMM è una patologia autoimmune grave che colpisce soprattutto i soggetti anziani. Il sospetto clinico deve essere rapidamente posto dal medico di medicina generale, dagli oculisti e dagli odontoiatri al fine di inviare prontamente il paziente presso i centri esperti dove possa essere confermata la diagnosi e dove si possa intervenire prontamente con un trattamento steroideo, immunomodulante o immunosoppressivo al fine di ridurre il rischio di un’evoluzione cicatriziale. L’iter diagnostico deve includere una valutazione estensiva di possibili neoplasie sottostanti.
La gestione dei pazienti affetti da pemfigoide delle membrane mucose richiede un approccio multispecialistico e spesso necessita dell’uso di trattamenti off-label.