L’ipercolesterolemia familiare omozigote (HoFH) è un raro disordine del metabolismo lipidico caratterizzato da incrementati livelli plasmatici di LDL-colesterolo, accelerato processo aterosclerotico ed eventi cardiovascolari precoci. I difetti genetici che ne stanno alla base riguardano mutazioni con perdita di funzione a carico del gene codificante per il recettore delle LDL – LDLR (più frequenti); mutazioni a carico del gene APOB e mutazioni con guadagno di funzione del gene PCSK9 (1). Un’altra forma rara a trasmissione recessiva è causata da mutazioni del gene LDLRAP1, codificante per la proteina adattatrice del recettore delle LDL (2).
I soggetti che ne sono affetti necessitano pertanto di una terapia ipolipemizzante standard, basata sull’uso di statine, ezetimibe, sequestranti degli acidi biliari e niacina (questi ultimi due raramente usati) associata a dietoterapia a basso contenuto lipidico e a procedure di LDL-aferesi, a cadenza settimanale o bisettimanale (3).
Le nuove strategie terapeutiche riguardano l'uso di Ab monoclonali anti-PCSK9 (alirocumab, evolocumab); l’oligonucleotide anti-senso anti Apo-B (mipomersen); l’inibitore della proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo – CETP - (anacetrapib) e lomitapide (4-8) (Tab. 1).
Recentemente lomitapide è stato approvato per l'uso in pazienti adulti HoFH in aggiunta alla terapia standard (Fig. 1).
L’efficacia e la sicurezza di lomitapide sono state ampiamente studiate e confermate in studi clinici di fase 2 e 3 e il suo utilizzo nella pratica clinica ha mostrato una riduzione superiore al 50% dei livelli plasmatici di colesterolo LDL (7).
L’inibizione della microsomal transfer protein (MTP) indotta da lomitapide determina una riduzione della secrezione epatica delle lipoproteine a bassissima densità (very low density lipoproteins, VLDL) e dei chilomicroni a livello intestinale. Per tale motivo tale farmaco può indurre disturbi gastrointestinali quali nausea, crampi addominali, diarrea e steatorrea (che si accentuano in occasione di pasti ad alto contenuto di grassi ≥ 20%) e/o steatosi epatica con relativo incremento degli indici di funzionalità epatica anche se generalmente. Nella real life, però, questo farmaco ha dimostrato generalmente di essere ben tollerato e gli eventi avversi si riducono gradualmente nella fase di titolazione fino alla scomparsa una volta raggiunta la dose di mantenimento.
Lomitapide non è raccomandato in gravidanza in quanto allo stato attuale non ci sono dati in letteratura sul suo uso in donne gravide: quello che si conosce riguarda un aumentato rischio teratogeno comprovato in studi su animali.
Recentemente si è proposto lomitapide in aggiunta alla terapia convenzionale nel trattamento di soggetti affetti da sindrome chilomicronemica familiare, un raro disordine genetico caratterizzato da ipertrigliceridemia severa e conseguente esposizione a episodi ricorrenti di pancreatiti. A tal proposito sono in corso studi clinici per valutare sicurezza ed efficacia anche in questa categoria di pazienti (9).
Interessante sarà inoltre valutare il possibile utilizzo di lomitapide in soggetti HoFH in età pediatrica. Studi post-marketing (nell’ambito del registro LOWER e della strategia di valutazione e riduzione del rischio – Risk Evaluation and Mitigation Strategy – REMS) saranno inoltre utili per valutare gli outcomes a lungo termine nei soggetti in trattamento (10).